LE DERNIER LIVRE DES ENFANTS
A partire da Les miettes (dicembre 1997), Ariane Dreyfus ha imposto la sua voce singolare attraverso una quindicina di opere. Il libro Le dernier livre des enfants è la sesta raccolta che pubblica nella collezione Poésie/Flammarion.
I bambini si muovono per far respirare la loro solitudine. Allora ci vogliono storie. Per esempio Un cyclone à la Jamaïque: Emily, 10 anni, si ritrova imbarcata per sbaglio con i suoi fratelli e sorelle sopra un battello di pirati, non avendo come Peter Pan che un capitano invecchiato, dal cuore nascosto, che spaventa molto più di quello che immagina, ma ad ogni modo tanto vale non chinarsi troppo per vedere in fondo, l’aria è nell’aria.
Altri bambini ma meno sicuri: innamorati che s’avvicinano a tastoni, che calcolano in quale momento aprire gli occhi su ciò che l’altro ci mostra di noi stessi. Il mistero comincia con le confessioni.
Era arrivato il tempo per me di arrischiarmi più vicino al bordo. Non uccello, no. Ma dato che sono stata e siamo ancora meravigliati di esserci così poco mossi mentre già si vede la morte.
Ariane Dreyfus
(dalla quarta di copertina. Traduzione di Viviane Ciampi)
Scrivo perché sparirò.
Era lì,
Mia figlia seduta sulla scala, la guardo tra le sbarre
Non muoverti
Mi piace continuare
L’importanza di guardarsi
Probabilmente
Il volto ne vuole un altro
I piccoli, non dire più niente
Così la notte se sento il gatto mangiare finalmente,
Lui così magro, so che muove il suo mento dalle ossa sottili
Ha bisogno di mangiare, dimenticandoci
Mentre il cibo scricchiola tra i suoi denti
Gli scricchiolii se volessimo, sapremmo dove sono
Passare tra le sbarre, sfiorarle
Senza impaurirsi
Soprattutto quando un animale gira la testa, esita,
Poi ritorna alla sua ciotola dove rimane la solitudine
I
CREPUSCOLO
Senza nulla spostare del mondo
(Il banchetto di Erode, bassorilievo di Donatello, secolo XV)
Le sue braccia sono ripiegate, vi ci schiaccia guancia e ventre
Salomè danza ancora, passa sotto la grande scala,
Ma il bambino che vi si è posato per dormire
sulla sua guancia per nulla rimuovere del mondo
fa un gesto più vero
Dorme tra due scalini, impedendosi di cadere
Per troppo tempo si è dovuto guardare la danzatrice
Con le sue braccia luminose forse doloranti
Così stranamente distaccate in potenza di serpenti
Forti onde spingono il giovane corpo
Ma le due gambe dove s’arrotolano le vele
Trattengono qualcosa del mare, quel rammarico d’avanzare
Lei incurva la sua mano nel marmo, lì erigendo
Lo scuro scavo d’una conchiglia.
Una sola, scura quanto chiaro è il volto
E triste come lui, con la piccola bocca stretta
Scavo aperto per dire sì
Nero per dire no
Meraviglia ma è meglio
Il marmo nell’opera si è spaccato nel punto più attraente
Come all’improvviso
Un’acqua gelida si è messa a scricchiolare dove vuole
È vivace, bello poco importa,
Con questa forza
Il tempo ci solleva nelle sue mani
Saremo distrutti, ma come?
Durante l’inverno che seguì, Salomè aveva le stesse vele,
Le stringeva con le braccia per fuggire?
Quando con la sua bruttissima morte come ce lo assicura Niceforo Callisto
Immaginando che incontrò un fiume da attraversare
Divenuto ghiaccio continuo e che per oltrepassarlo più a suo agio
Ella vi mise il piede (lo stesso di quello che già si storce,
vicino al marmo qui frantumato?)
E che Dio volendo che il ghiaccio si rompesse, provvidenza e non incidente,
Ella si frantumò
Oggi l’opera si sciupa, è meglio
E meglio ancora, quel buco che vedo lassù,
Così reale!
Ed è tanto l’uccello
Quanto il buco da dove l’uccello è sparito
O è la più bella delle lune
Perché se vi posassi il mio dito la sentirei
Agganciarsi alla pelle
Salomè sparisce da giù, continua il curioso Niceforo,
L’acqua gelida la prende tranne la testa
Credete che balli se muove
Le parti basse del suo corpo?
Balla piano non sulla terra, ma dentro l’acqua,
Con le gambe come prima ma sotto lo specchio, specchiera
Che rinfresca ai guardanti la memoria di ciò che ha fatto
Il freddo la stringe al collo, non il freddo di un ferro tenuto da una mano
Quello si fa da solo, la sua testa ferita poi staccata
A chi dare
Gambe lisce a chi non ha lacrime in arrivo?
Non a lui
Il bambino grosso come un guanciale che nessuno prende
Poiché posa da sé la propria testa
Pesante e contenta
Salomè che si perde e il bambino gran sognatore
Il più bel corpo qui è la scala
Vuota rischiara tutto
Nulla si slancia se non lui,
Non aspetta nessuno per salire
d’un colpo solo i gradini
Poco gl’importa che una danza sia mortale
Ogni gamba che lo tocca
È viva per forza
Il più desiderabile è il più disertato
Se fossi qui, li salirei
Tutti i gradini per andare a vedere
E anche posarvi il mio mento
Ciò che vi è nel bel buco d’uccello
Il suo graffio
L’aria già raffredda il mio volto,
Voglio guardare fuori!
J’écris parce que je vais disparaître
C’était là,
Ma fille assise dans l’escalier, je la regarde entre les barreaux
Ne bouge pas
J’aime continuer
L’importance de se regarder
Sans doute
Le visage en veut un autre
Les tout petits, ne plus rien dire
Ainsi la nuit si j’entends le chat manger enfin,
Lui si maigre, je sais qu’il bouge son menton aux os fins
Il a besoin de manger, nous oubliant
Pendant que la nourriture craque entre ses dents
Les craquements, si on voulait, on saurait où c’est
Passer entre les barreaux, les frôler
Sans se faire peur
Surtout quand un animal tourne sa tête, hésite,
Puis retourne à son bol où il reste de la solitude
I
CREPUSCULE
Sans rien déranger du monde
(Le festin d’Hérode, bas-relief de Donatello, XVe)
Ses bras sont repliés, il y presse sa joue et son ventre
Salomé danse encore, elle passe sous le grand escalier,
Mais l’enfant qui s’y est posé pour dormir
Sur sa joue sans rien déranger du monde
Fait un geste plus vrai
Il dort entre deux marches, s’empêchant de tomber
Trop longtemps il a fallu regarder la danseuse
Avec ses bras lumineux peut-être douloureux
Si bizarrement détachés en puissance de serpents
De vagues fortes poussant le jeune corps
Mais les deux jambes où les voiles s’enroulent
Gardent quelque chose de la mer, ce regret d’avancer
Elle courbe sa main dans le marbre, faisant là
Le creux sombre d’un coquillage,
Un seul, aussi sombre que le visage est clair
Et triste comme lui, avec la petite bouche serrée
Creux ouvert pour dire oui
Noir pour dire non
Etonnamment mais c’est mieux
Le marbre dans l’œuvre s’est fendu au plus gracieux endroit
Comme subitement
Une eau gelée se met à craquer où elle veut
C’est vif, beau qu’importe,
Avec cette force
Le temps nous soulève dans ses mains
Nous serons jetés, mais comment ?
Lors de l’hiver qui suivit, Salomé avait-elle les mêmes voiles,
De ses bras les serrait-elle pour s’enfuir ?
Lors de sa mort très vilaine comme l’assure Nicéphore Calliste
Imaginant qu’elle rencontra une rivière à passer
Devenue glace continuelle et que pour la passer plus à son aise
Elle y mit le pied (le même que celui qui se tord déjà,
près du marbre ici fendu ?)
Et que Dieu voulant que la glace se fendît, providence et non pas accident,
Elle se fendit
Aujourd’hui l’œuvre s’abîme, c’est mieux
Et mieux encore, ce trou que j’y vois là-haut,
Si réel !
Et c’est autant l’oiseau
Que le trou par où l’oiseau a disparu
Ou c’est la plus belle des lunes
Parce que si je posais mon doigt je la sentirais
M’accrocher la peau
Salomé disparaît par en bas, continue le curieux Nicéphore,
L’eau glacée la prend sauf la tête,
Croyez-vous qu’elle danse si elle bouge
Les parties basses de son corps?
Elle balle doucement, non sur terre, mais dedans l’eau,
Avec ses jambes comme avant mais sous la glace, miroir
Qui rafraîchit aux regardants la mémoire de ce qu’elle a fait
Le froid serre son cou, pas le froid d’un fer qu’une main tiendrait
Cela se fait tout seul, sa tête d’abord blessée puis détachée
À qui donner
Des joues lisses à qui les larmes ne viennent pas ?
Pas à lui,
Le gros enfant comme un oreiller que personne ne prend
Puisqu’il y pose de lui-même sa propre tête
Lourde et contente
Salomé se perdant et l’enfant bien rêveur
C’est l’escalier le plus beau corps ici
Vide il éclaire tout
Rien ne s’élance sinon lui,
Il n’attend personne pour monter
D’une seule volée de marches
Peu lui soucie qu’une danse soit mortelle
Toute jambe qui le touche
Est forcément vivante
Le plus désirable est le plus déserté
Si j’étais là, toutes les marches
Je les monterais pour aller voir
Et même y poser mon menton
Ce qu’il y a dans le beau trou d’oiseau
Son écorchure
L’air déjà refroidit mon visage,
Je veux regarder dehors !